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domenica, agosto 14, 2005

le due economie



















Tanto si è parlato di modelli di analisi economica, data l'incapacità della scienza economica di dare risposte attendibili in termini sia desrittivi che esplicativi-predittivi, ma poco si è fatto fin'ora per diminuire le lacune che i modelli quantitativi inesorabilmente votati alla generalizzazione, hanno distorto della reale complessità dell' agire economico-sociale.
Le teorizzazioni dovendo rispondere a questioni che i contesti sociali inediti pongono mettono in discussione la maggior parte delle prospettive neoclassiche, il cui benessere sociale è riduzionisticamente legato alla crescita e al consumo dei beni, il cui mercato autoregolato provvederebbe per propria inclinazione naturale, distogliendo il proprio punto di vista dall'effettiva qualità della vita che il modello dà per presupposto.
L'emergere di problematiche globali come la effettiva partecipazione a questo modello di crescita, con le disparità che il mercato autonomamente non può risolvere basterebbe a mettere in crisi qualsiasi modello di economica politica che non integra l'opportuno intervento di correttivi.
A ben vedere la delegittimazione del modello economico della crescita quantitativa il cui indice viene rappresentato asfitticamente dal prodotto interno lordo, si sostanzia anche all'interno dei paesi occidentali, sia in termini di disparità di accesso alle risorse, che più propriamente nella logica intrinseca della crescita stessa.
Questa infatti è ben lungi dall' aumentare la cosidetta qualità e speranza di vita, inquanto la soddisfazione apportata da un sistema che si autosostiene con la crescita, toglie spazio ad altri tipi di risorse altrettanto necessarie, ma non monetizzabili come i bene relazionali.
Adesso come non mai emergono due due modelli economici che inquadrano l'azione umana il cui scopo è il benessere.
Il primo pone la crescita economica come mezzo e fine della realizzazione umana, il secondo fà dell'economia uno strumento per raggiungere un fine che non può essere cosi conseguente alla crescita di risorse, la felicità.
E' questa incompatibilità che rimette in discussione ogni politica economica che fa della crescita il suo unico fine, e della competitività, produttività, consumo le sue prerogative abilitanti.
Tutte le controversie che indagano la validità di modelli di sviluppo economico sociale sono approfondite nell'ultimo libro di Luca De Biase messo a disposizione per gli utenti della rete nel suo sito.
http://blog.debiase.com/

domenica, agosto 07, 2005

chi è la società civile?















Caro Beppe,non essendo un navigatore assiduo di blog (per mancanza di tempo), confesso che indubbiamente questo spazio è di gran lunga più denso di informazioni utili di molti specialisti della professine, quantomeno per la semplicità in cui si arriva a discutere questini complesse. Certo quello che non posso non notare e la forte differenza che assumono i tuoi post attraverso i commenti. Ho l'impressione che la tua sottile sofisticazione non arrivi alla maggior parte,che ricevono il tuo massaggio dandogli una prevalente lettura polemica e non costruttiva. Di certo i commenti senza cognizione di causa soddisfano sempre la voglia di esprimersi e non fanno male a nessuno,anche se leggendone alcuni ho notato che lo spirito polemico e la pretesa su certi diritti all' informazione sembrano veramente esagerati,non rendendosi conto che cosi ledono altri diritti rilevanti della controparte. La pubblicità è innegabile che è stata il motore economico dell'economia occidentale e le distorsioni di questa logica economica,che sono attribuibili di fondo alla cosiddetta asimmetria informativa anche le aziende non hanno ancora trovato validi strumenti e meno costosi per poterla superare. E' questo il discorso bilaterale che interessa il bene collettivo e non può sfogare in polemica unilaterale, perchè il beneficio rigurda tutti.
Il discorso dovrebbe,come tu credo abbia alluso perlando di inefficienze di bombardamento inefficaci, essere ottimizzato con altre tecnologie della comunicazione, più attive per l'utente che le usa pre la ricerca informativa, ma vorrei vedere quanti dei polemisti, che mi viene da pensare "a pappa fatta" vogliano assumersi il costo della ricerca di informazioni, magari vedendo i bilanci delle società(che possono consultare)per le spese che loro non ritangono utili. Cosi dovendosi assumere l'onere della ricerca, e pretendendo che l'aziende possano rimanere competitive in questa logica di mercato, alla fine otterrebbero l'ambito vantaggio di prezzo del prodotto? In un'economia arcaica fondata sul baratto confinato territorialmente, dove tutti sanno tutto di tutti si,ma questa è preistoria. Il discorso costruttivo, come hai accennato, e unico per ottimizzare la logica economica del mercato, è la profilazione degli utenti"interessati" a ricevere informazioni, anche con il cellulare certo, perché internet non arriva ancora ai livelli minimi di diffusione.
Ma sono sicuro che i polemisti anche qui avrebbero da ridire rispetto alla privacy e al loro trattamento dati per implementare il processo di selezione informativa, e si sentirebbero subito minacciati dalla forza oscura del potere. Se fossimo meno ignoranti, tutto sarebbe meno minaccioso e più moderabile, soprattutto in riferimento a quella che ancora continua a chiamarsi "società civile", ma che non esiste perché non vuole assumersi ancora la responsabilità di scegliere su decisioni che influenzano il bene di tutti, proprio perché è egoisticamente personalistica e lamentosa.
Postato da emanuele de candia il 07.08.05 16:21
http://www.beppegrillo.it/cgi_bin/

tv digitale e concorrenza
















Commenti all' articolo principale di Maurizo Goetz in"Il vero dibattito sulle tv digitali" nel portale blog del marketing http://www.imli.com/imlog/archivi/cat_tv_digitale.html

Caro Maurizio da appassionato della tematica e soprattutto dalla valenza che ripongo in questo forum per la significatività degli interventi,soprattutto riguardo alla sensibilità che si può leggere in merito alle innovazioni in atto. Certo che neanch'io penso che i giochi per l' attenzione siano determinati anzi, ma non posso non notare, che quanto sta avvenendo nell' evoluzione del broadcasting le aperture in merito al content si sta giocando dall' alto, soprattutto nell'interpretazione delle normative per lo sfruttamento dei diritti (i soliti premium) come nelle reti, che trasformate in servizio possono solo incrementare quelle tipologie di contenuto, il calcio adesso e pochi altri rich fra un pò. Non è disillusione la mia, ma solo presa di coscenza che se l'apertura al mercato dei produttori di contenuti indipendenti ci sarà avverrà per altre tecnologie abilitanti,e non solo il cellulare. La televisione rispetto a questa possibile apertura non è indicata a mio avviso e non solo per problematiche connesse alla concentrazione del mercato ma soprattutto per non connaturarsi all'unico elemento che ne può sovvertire il modello di business, l'interattività. Ok tutti i discorsi sulla frammentazione della catena del valore che tanto si è sentito dire soprattutto nella convegnistica (ma non disinteressata) ma le revenues aggiuntivo saranno focalizzate tutte nella richiesta del servizio a valore aggiunto (se mai ci fosse questa latente domanda), quelle inerenti al contenuto invece mi sembra di aver capito quali dovranno essere,e gia lo sono. A mio parere l' unica offerta innovativa a livello di content è quella dichiarata da Tiscali nella sua prossima Iptv che cerca di recepire quella tendenza dal basso e la possibilità di qualunque persona di essere produttore e consumatore. Anche All Gore dalle sue parti a pensato di dar voce ai prosumer..ma da quelle parti ho l'idea che con tutte le barriere all' ingresso che ci sono i media ascoltano meglio la voce dei mercati che le sirene che parlano di concorrenza e tipi di adeguada regolazione che guarda caso bloccano la competizione. Scusate la mia deriva nel campo di botteghe oscure ma le ultime vicende in capo alla Siae mi fanno sempre più convincere che il freno è il king..a tutto discapito dei contenuti, soprattutto quelli che fatti di bit. Inviato da: emanuele @ 29.07.05 12:37

sabato, agosto 06, 2005



















Per continuare il percorso che ha dato adito a questo post si rimanda al blog http://paolaliberace.blogspot.com/

E' il servizio pubblico,bellezza! ma soprattutto per quella contraddittoria Europa che sostiene come priorità strategica l' agenda di Lisbona.Il servizio pubblico con la sua spada tratta verso l' accezzione di servizio pubblico essenziale si autolegittimerà all' infinito fino a coinvolgere sotto la sua ala anche la povera dignità di una sola potenziale persona che nel mercato non avrebbe avuto la "adeguata" tutela.Gli "economisti"di qualsiasi colore ma di riconosciuta lobby lo chiameranno "sempre" fallimento del mercato,il suo vero nome dovrebbe essere settori protetti,collusione politica economica,rendite di posizione. Adesso che l' innovazione tecnologica sta cominciando a dare i suoi frutti e la delegittimazione in cui avversa negli stati membri da al fenomeno della televisione di "garanzia" i suoi primi colpi la mission non poteva che arrivare dall' Europa della società dell' informazione che attraverso lo sviluppo dell' ICT(adesso lo chiamano IMT,la M sarebbe il fattore comunicativo umano che la tecnologia da sola non avrebbe)vorrebbe superare il gap con gli ultrapragmatici states.Comunque anche se nessuno vorrebbe più sentir parlare di questo camaleontico servizio pubblico,i contenuti della teche rai saranno a tutto titolo beni culurali,quindi in nome del famoso content's king,sarebbe un' opportunità persa non valorizzarli,ed eccolo che ritroverà il suo scopo,l'esserci.Dimenticavo una linea d'azione per l' entrata dell' europa nella società postuma a quella dell' informazione,quella della conoscenza in cui si dovrà favorire il marcato dei contenuti digitali e-Euorope.Ho il sospetto che se negli anni 50 era giusto che la tv facesse da organo di formazione e dopo in nome della penuria di risorse tecniche passò a gestore di un' economia in cui la risorsa primaria è la persuasione,non sarà che la prossima ondata di "alfabetizzazione" digitalizzazta passi per il Raffaello o Leonardo invece che Shile,cosi la nostre belle pubbliche amministrazioni "trasparenti" continueranno a produrre.Ho proprio paura che il t-government cioè il fallimento del piano e-government per i servizi al cittadino con infrastrutture " evolute"(internet) ha spostato proprio il tiro sulla tv.Se si osservano le convenzioni stipulate dalla rai con gli enti pubblici è indubbio che il risultato del famoso federalismo sta dando i suoi frutti:dalla mamma rai a tutti i dicendenti,le pa.Bè forse sono troppo polemico,il vantaggio c'è:le procedure pesanti sono sempre le stesse ma la fila allo sportello se riusciranno a creare la loro killer application,che si risolve nell' user friendly,no ci saranno più.E' il focolaio domestico,bellezza!

deriva porno





















Questo post è il commento ad un articolo presente nel blog di Paola Liberace in merito all'approccio che in Italia tende a contornare la pornografia.
La deriva interpretativa che assume la tematica della pornografia in Italia ha i suoi retroscena che sconfinano fondamentamte in due canali.Il primo fondante è quello della nostra paternità alla morale cattolica,che è pronta a tirare fuori gli artigli in ogni occasione che ne turberebbe la malcelata perdita di consenso in atto e di conseguente controllo delle povere animuccie irresponsabili.Bè è ovvio ch enel caos del post-moderno abbiamo bisogno ancora di guide spirituali che possano frenare l' irresponsabilità di un'attore,il corpo,che non ha ancora assunto il merito che la buona filosofia dà alla mente.Questo è il bagaglio pesante che ancora trasciniamo.Poi il secondo canale,che ha interessi più contingenti,è pronto ad appoggiare qualunque bandiera affinchè possa scacciare la paura di perdere l'orticello che per grazia ricevuta ancora frutta.Per analogia traslitterata nel tempo è il castello del nobile che vede il mercante vendere in quella che è sua proprietà,prodotti che gli fanno gola ma che non ha.Se non erro questa vicenda del porno è uscita in concomitanza di rumor che l'ospite francese Ten Ammar, proprietario di canale D,attualmente acquisito da mediaset,stava trattando per una librery in merito.Ecco la contingenza pronta a scattare da un' esponente avverso alla maggioranza,in cui si arrivò addirittura alle conclusioni che il digitale terrestre era un'espediente per l'entrata in I talia di questo mercato sporco.Questa politica è quella che domani se invece dello straniero o dell'avversario di turno,ha il conoscente fidato come distributore,si spalancherà nelle piazze e chiederà soldi per un referendum.Bello l'egoismo,ma anche la coerenza e soprattutto la trasparenza.


















Questo post è un commento ad un articolo del sito http://www.tvdigit.net/ .
La scoperta di questo sito mi conforta data l'incontrollata elogiografia che stà facendo da leit motiv portante tutte le discussioni in merito al digitale terrestre e la via scelta dal nostro Paese per la transizione al "tutto digitale". Non voglio dimenticare che se ci deve essere una parte buona dell'ingerenza dello Stato nell'economia deve esserci nei settori strategici come l'ict di cui la televisione è completamente travolta,tanto che i confini settoriali cosi interdipendenti possono(come lo stanno divenendo adesso in merito alla definizione della pay per view)cabiare le regole del gioco e la partita dipende da chi li definisce. Servizi nella socità dell'informazione e contenuti trasmessi stanno facendo da aghi nella bilancia sia nel paniere del sic,che nei rispettivi mercati rilevanti,tanto che ogni definizione implica una serie di limiti strategici alle imprese coinvolte e delle opportunità da sfruttare. E' evidente che se la scelta forzata che vorrebbe favorire una conversione al digitale data la bassa propensine al rischio e la recessione strutturale delle capacità di innovazione dell'industria dovrebbe con tempi certi,favorirne lo sviluppo,soprattutto attraverso l'eliminazione delle incertezze di investimento. Tralaltro sia la competizione sia la domanda doppia di pubblicità che di attenzione sembra satura e il settore non può che reagire attraverso modalità push. Su questo convengono molti analisti,come sul fatto che nel digitale terrestre per esempio,i fallimenti avvenuti in Spagna e Inghilterra,nelle versioni di lancio,erano dovute soprattutto al market driven,politiche publiche incerte,e il disinteresse ad un'offerta che non era in grado,con il modello di business pay,di avere dei vantaggi competitivi a quella satellitare. Il problema italiano infatti non deriva dall' ingerenza del pubblico nell'economia,ma dalle distorsioni con cui viene effettuata in tutta la catena del valore della nuova piattaforma. Non stò negando che la realtà dei media è molto concentrata e polarizzata ai vertici per le peculiarità della loro logica economica,che è mass-market e le economie di scala possono essere raggiunte con costi di tempo opportunità molto lunghi e ingenti investimenti,favorendo chi detiene potere di mercato anche in assenza di comportamenti collusivi o anticompetitivi. Il nodo critico dell'ambiente media italiano è che a questi fattori strutturali (e lasciando a parte l'annoso conflitto di interessi che sposterebbe il discorso in ambito politico)si sommano le carenze tra norme e vigilanza. Se la legge sul "decoder unico" partita dall' Europa e pro-concorrenziale sia per le piattaforme che per il beneficio sociale a livello di costi per la collettività e quindi forte driver di adozione delle nuove tecnologie sembra stia andando a frantumi dato che per adesso ogni piattaforma stà cercando di recintare i suoi confini e se anche Sky non può pretendere che venga sovvenzionato il suo sistema proprietario,di certo non ha tutti i torti a fare ricorso alla Commissione Europea,dato che infatti il digitale terrestre non sembra voglia(malgrado tutti i progetti approvati dal Fub)fondarsi sul modello della televisione commerciale gratuita. Se anche questa a regime si svilupperà,rimane il fatto che i modelli saranno misti,e quelli a pagamento sembrano avere più opportunità di crescita,quantomeno se rimarrannno i vincoli che impediscono l'entrata a inserzionisti come tabacco,farmaceutica.Oltretutto la comunicazione di marketing sembra avere altri canali in crescita,e non solo,le sbornie della rete sembrano volersi riprendere. Per non entrare in merito alle normativa sulle reti,i multiplex ,che dato il ventennale accaparramento delle frequenze,con tanto di saturazione e il mai attuato piano di assegnazione razionale delle risorse,si sa che l'entrata di altri attori è impossibile se non da content provider.Risalendo a monte della catena del valore ecco che questi soggetti fornitori di programmi hanno la tutela dal gestore di rete di essere ospitati(con tutte le questioni che per altro hanno riguardato il must offer e must carry tra Telecom che si sentirebbe ostacolato dato il suo irrisorio potere di mercato e Fast Web che vorrebbe non pagare contenuti)per trasmettere. Innanzi tutto il gestore ha per legittimo diritto validare i programmi ospitati e la loro sostenibilità,e questo non fa una piega,come ha più volte ribadito Gina Nieri(Mediaset)ma per farla corta nessuno potrà impedire che saranno cinque i multiplex a cui fa capo tre socità che tutti conoscono,che detteranno le strategie anche dei canali ospitati e se proprio competizione ci dovrà essere avverrà con la crescita di Telecom che però ho le mie riserve anche in questo,dati i non solo collegamenti di azionariato ma anche di consapevolezza di strategie reciproche,un nome che può esemplificare il collettore informativo è Gnutti se non erro. Ma i contenuti di cui la legge è reticente a parlare e che tutti sanno fino al pedante motto the contnt's king,primo anello del valore e fattore strategico per eccellenza? Il mercato dei produttori italiani è a dir poco debole e per capire il perchè bisognerebbe aprire una vasta panoramica che le ultime vicende in capo alla SIAE possono parlare più di analisi dettagliate. Di fatto il potere contrattuale di chi distribuisce è molto più forte(eccezione di pochi soggetti)di chi offre contenuti(non premium) e di conseguenza i tipi di relazioni che i broadcaster hanno istaurato sono stati sbilanciati dal "o con me ha questo prezzo,o con nessun altro che sò tu possa interessare con questo prodotto". Dove la concorrenza sia tra piattaforme(multichannel) che tra emittenti è più agguerrita il mrcato dei contenuti è più sviluppato sia in volume/valore che in termini di revenues sharing nella della filiera. Che il controllo dei contenuti sport attraverso tipologie di contrattazione dei diritti di sfruttamento faccia da gatekeeper è innegabile. Come può allargarsi il mercato se il controllo è effettuato a monte con i diritti e con recinsioni per piattaforme a valle? Che in determinati settori il regime di concorrenza non comporta lo sviluppo del mercato è appurato anche negli States il cui modello si fonda sul libero scambio ma di certo loro per coerenza seguono la linea del primato dell'economia sul resto,il caso Microsoft e la sua quota del 90% sui sistemi operativi è emblematica per capire come la dimensione monopolistica non vada repressa ex ante ma semmai negli ubusi e non come status. Difficile mi sembra fare confronti di logiche quando quello che rimane il fattore strategico dell'agenda di Lisbona è lo sviluppo dell'ict,i cui risultati sulle tlc si sono manifestati(pensando poi che era un settore pubblico bisogna apprezzarne ancora più i meriti),quelli dell'it sono ancora lunghi ad aversi,ma i media a che punto stanno?e dove stanno andando? Nei media ho proprio l'impressione che la vecchia Europa ma in questo caso l'Italia sembra esserne la mascotte non hanno il solo obiettivo di sviluppo se non contempera allo stesso tempo la logica politica. Quando la politica sarà più matura forse i media potranno svilupparsi

giovedì, agosto 04, 2005

rights e interpretation












Dalle ultime vicende che stanno infervorando una delle tante dispute in merito all'interpretazione,di recente sembra che in Italia si voglia passare alle prospettive del decostruzionismo del celebre Deriddà.
Questo non è un male se l' oggetto d' analisi e la letteratura o il linguaggio,dato che come è a tutti noto non ha una teoria che possa fondare scientificamente il suo modo di funzionare.
La bizzarria ritenuta da non pochi eccentrica e che per quanto la "legge" che ovviamente non può funzionare e non è altrettanto immune da interpretazioni,è tornata al centro dell' occhio semiotico lobbistico.
Qui infatti non si certa di interpretare un fatto alla luce di una norma e inversamente di creare una norma che possa rendere meglio conto di un nuovo fatto che sfugge dalle maglie concettuali delle regole,ma si sta cercando di identificare una tecnologia nota come la Pay per View,cioè la televisione che può attraverso previo pagamento del "servizio" essere fornita dall'emittente,come puro servizio.
E' indiscutibile che il servizio c'è,come altrettanto lapalissiano che è l' utente che opera questo processo di scelta,ma tutto ciò non può negare che il "contenuto" è quello della vecchia e dura a morire televisione tradizionale.
Devo precisare che la controversia gira intorno al dato temporale,e non alla tipologia di "servizio" o "contenuto" comunicativo,inquanto l'ago della bilancia è stabilito da una norma che prescrive una durata minima settimanale di trasmissione(24 ore)affinché il broadcaster entri nel perimetro di "fornitore di contenuti" televisivi per l' Authority con i rispettivi limiti inerenti la concorrenza del mercato.
Dato che in gioco ci sono molti milioni di euro e ad essere puntigliosi anche il tanto osannato pluralismo della comunicazione a cui la Corte Costituzionale non ha mai dimenticato come principio fondante del sistema televisivo,allora sempre che qualcuno legga mai questo post,come può essere interpretata questa rivoluzionaria TV?
E' giustificabile in termini di legittimità, il principio della libera iniziativa d' impresa, quand'esso assuma lo status di posizione dominante con le implicazioni di abuso,con l' argomentazione di libera scelta dell'utente,quando quest'ultimo non né ha delle altre possibili?
E la ratio della deroga che sposterebbe il "contenuto"televisivo a "servizio" della società dell' informazione attraverso l' argomentazione della non continuità del palinsesto offerto e la residualità delle 24 ore settimanali,può essere sostenuta disinvoltamente?
A mio parere la residualità della pay per view dovrebbe essere calcolata nel perimetro della TV tradizionale inquanto il prodotto "contenuto" oltre che essere strategico per il traino dell' offerta broadcaster e possedere vantaggi competitivi dell' offerta e anche sostituibile per la competizione dell' audience,quindi omologabile nello stesso mercato.
Ciò non ne nega le differenze in cui gli stessi prodotti sono forniti:pay-tv,pay per view,near video on demand e le varie piattaforme che possono trasmetterli:satellitare,cavo,terrestre,ma è difficile non considerare che i contenuti concorrono per le stesse risorse,i telespettatori.
Il problema infatti dovrebbe riguardare non le tipologie e modalità di offerta se la finalità è lo sviluppo della concorrenza e del mercato ma le contrattazioni che dispongono lo sfruttamento dei contenuti,veri e propri gatekeeper a monte di tutta la catena del valore della comunicazione.
The content's king è un motto conosciuto bene nell'ambito del mercato dei desideri...la stranezza è l' oblio che viene ad assumere con i mercati emergenti dalla nuove tecnologie abilitanti...
E' ridicolo sostenere che tutti debbano avere accesso a tutto,ma è grave omissione per il bene della collettività e il funzionamento del mercato con efficienza che chi né dispone faccia da deterrente allo sviluppo.

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