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giovedì, agosto 04, 2005

rights e interpretation












Dalle ultime vicende che stanno infervorando una delle tante dispute in merito all'interpretazione,di recente sembra che in Italia si voglia passare alle prospettive del decostruzionismo del celebre Deriddà.
Questo non è un male se l' oggetto d' analisi e la letteratura o il linguaggio,dato che come è a tutti noto non ha una teoria che possa fondare scientificamente il suo modo di funzionare.
La bizzarria ritenuta da non pochi eccentrica e che per quanto la "legge" che ovviamente non può funzionare e non è altrettanto immune da interpretazioni,è tornata al centro dell' occhio semiotico lobbistico.
Qui infatti non si certa di interpretare un fatto alla luce di una norma e inversamente di creare una norma che possa rendere meglio conto di un nuovo fatto che sfugge dalle maglie concettuali delle regole,ma si sta cercando di identificare una tecnologia nota come la Pay per View,cioè la televisione che può attraverso previo pagamento del "servizio" essere fornita dall'emittente,come puro servizio.
E' indiscutibile che il servizio c'è,come altrettanto lapalissiano che è l' utente che opera questo processo di scelta,ma tutto ciò non può negare che il "contenuto" è quello della vecchia e dura a morire televisione tradizionale.
Devo precisare che la controversia gira intorno al dato temporale,e non alla tipologia di "servizio" o "contenuto" comunicativo,inquanto l'ago della bilancia è stabilito da una norma che prescrive una durata minima settimanale di trasmissione(24 ore)affinché il broadcaster entri nel perimetro di "fornitore di contenuti" televisivi per l' Authority con i rispettivi limiti inerenti la concorrenza del mercato.
Dato che in gioco ci sono molti milioni di euro e ad essere puntigliosi anche il tanto osannato pluralismo della comunicazione a cui la Corte Costituzionale non ha mai dimenticato come principio fondante del sistema televisivo,allora sempre che qualcuno legga mai questo post,come può essere interpretata questa rivoluzionaria TV?
E' giustificabile in termini di legittimità, il principio della libera iniziativa d' impresa, quand'esso assuma lo status di posizione dominante con le implicazioni di abuso,con l' argomentazione di libera scelta dell'utente,quando quest'ultimo non né ha delle altre possibili?
E la ratio della deroga che sposterebbe il "contenuto"televisivo a "servizio" della società dell' informazione attraverso l' argomentazione della non continuità del palinsesto offerto e la residualità delle 24 ore settimanali,può essere sostenuta disinvoltamente?
A mio parere la residualità della pay per view dovrebbe essere calcolata nel perimetro della TV tradizionale inquanto il prodotto "contenuto" oltre che essere strategico per il traino dell' offerta broadcaster e possedere vantaggi competitivi dell' offerta e anche sostituibile per la competizione dell' audience,quindi omologabile nello stesso mercato.
Ciò non ne nega le differenze in cui gli stessi prodotti sono forniti:pay-tv,pay per view,near video on demand e le varie piattaforme che possono trasmetterli:satellitare,cavo,terrestre,ma è difficile non considerare che i contenuti concorrono per le stesse risorse,i telespettatori.
Il problema infatti dovrebbe riguardare non le tipologie e modalità di offerta se la finalità è lo sviluppo della concorrenza e del mercato ma le contrattazioni che dispongono lo sfruttamento dei contenuti,veri e propri gatekeeper a monte di tutta la catena del valore della comunicazione.
The content's king è un motto conosciuto bene nell'ambito del mercato dei desideri...la stranezza è l' oblio che viene ad assumere con i mercati emergenti dalla nuove tecnologie abilitanti...
E' ridicolo sostenere che tutti debbano avere accesso a tutto,ma è grave omissione per il bene della collettività e il funzionamento del mercato con efficienza che chi né dispone faccia da deterrente allo sviluppo.

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